mercoledì 25 novembre 2009

Ave Maria. Dalla polifonia cinquecentesca a quella moderna




Le costruzioni polifoniche cinquecentesche sono architetture musicali paragonabili alle cattedrali e alle basiliche.
La “Missa Papae Marcelli” di Palestrina, a 6 voci, del 1563, può essere raffigurata alla coeva Cupola di S. Pietro, per la bellezza e la grandiosità delle strutture.

La voce umana raggiunge qui il culmine delle sue possibilità, oltre il quale sembra impossibile procedere.

In effetti si sentiva ormai il bisogno di ampliare l’orizzonte musicale, con l’introduzione della voce degli strumenti.

L’organo a canne aveva già fatto da tempo la sua comparsa, e veniva usato per rafforzare la voce umana con il raddoppio delle note. Ora si cominciano a comporre direttamente per organo musiche su temi gregoriani e profani, come una partitura polifonica.

Nascono così la Toccata, il Ricercare, la Canzona, la Fantasia, la Fuga, e altri generi musicali, in cui eccelsero subito i compositori italiani, come Cavazzoni, Tarquinio Merola, Andrea e Giovanni Gabrieli, e soprattutto Girolamo Frescobaldi (1583-1643).

Venne composta anche musica per il “cembalo”, cioè il clavicembalo; così come per il liuto, uno strumento a corde, simile ad una grande chitarra, che in quel periodo ebbe una straordinaria importanza. Musica da danza, ma anche musica sacra.

Dalla medievale “viella”, uno strumento ad arco simile alla viola, si svilupparono, sempre nel XVI secolo per opera geniale di liutai soprattutto italiani, la famiglia degli archi: violino, viola, violoncello e contrabbasso.
I “concerti grossi” di Alessando Stradella (1676) e soprattutto quelli di Arcangelo Corelli (1714) fecero scuola ovunque.

Con l’aggiunta degli strumenti a fiato (tromba, flauto, clarino, oboe, fagotto, corno, …) , e delle percussioni, l’orchestra è al completo.
La “Sinfonia dei Mille” di Gustav Mahler (1906) è il lavoro più colossale mai realizzato; si raggiunge non dico il massimo della bellezza, ma certamente il massimo dell’organico: mille gli esecutori, tra strumentisti e cantanti.

La voce umana non hai mai cessato però di esercitare il suo fascino. È lo strumento più perfetto e più bello, perché dotato di un’anima spirituale, e non solo di qualche corda vocale.

E così insieme agli strumenti ha continuato a far bella mostra di sé nell’epoca del melodramma, e oggi della canzone.

Ma ha continuato anche ad affascinare la polifonia a cappella, cioè le voci da sole, come al tempo di Palestrina e di Victoria.

Grandi musicisti del XX secolo hanno dedicato importanti lavori alla polifonia: Stravinskij, Poulenc, Bartòk, Kodàly, Britten, Arvo Part, per citarne alcuni.

Tra questi, chi ha certamente compreso lo spirito del gregoriano, da cui siamo partiti in questo nostro excursus, e da cui tutta la nostra musica in effetti parte, è stato l’ungherese Zoltàn Kodàly (1882-1967). Egli ha saputo valorizzare la musica popolare e antica, tra cui il gregoriano; e unendo sapientemente la tonalità con la modalità, il moderno con l’antico, ha costruito opere notevoli e in particolare stupende polifonie.

Come esempio portiamo la sua “Ave Maria”, a tre voci pari (soprano I, soprano II, contralto), composta nel 1935.

In essa si può notare che la voce bassa del contralto canta tutta l'Ave Maria, prendendo chiari spunti dalla nota melodia gregoriana e movendosi in modalità gregoriana.
Il canto del contralto è via via inframezzato dagli interventi delle due sezioni superiori, che ripetono il gioioso annuncio dell’angelo: Ave Maria!

Nella seconda parte della preghiera il canto si fa più compatto, e ci ricorda un po’ la polifonia di Victoria (nell’invocazione “Santa Maria!”); anche la voce del contralto poi si unisce al resto del coro, per concludere come ha iniziato, da solo, con il saluto dell'angelo: Ave Maria.

Bellissima e geniale composizione, dove il moderno s’incontra con l’antico e ci offre armonie incantevoli e originali.

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