venerdì 7 agosto 2009

Dio, atto puro. Aristotele (4)


















Nell’indagine razionale della realtà, Aristotele distingue anzitutto ciò che è sostanziale da cio che è accidentale.

L’aspetto sostanziale accomuna un essere ai suoi simili, le caratteristiche accidentali lo distinguono singolarmente. Lo abbiamo già visto nel post precedente.

Sembra un’analisi di poca importanza; in realtà supera di colpo il pensiero sofistico e relativistico. Se esiste un’idea comune a fondamento di ogni categoria di esseri, non ci si può fermare solo agli aspetti accidentali e mutevoli, che non modificano la struttura ontologica (cioè l'essere sostanziale).

L’uomo, ad esempio, muta nel tempo e nello spazio, ma la sua essenza non cambia; la struttura ontologica di uomo è ciò che sostiene ogni cambiamento. Infatti si dice l’uomo è piccolo, l’uomo è grande, l’uomo è vecchio, etc. Ciò che muta non è il “sostantivo” (uomo), ma gli "aggettivi".

Aristotele continua il suo studio della realtà, questa volta nel suo aspetto dinamico, nel suo divenire.

L’osservazione ci dice che tutte le cose cambiano, si trasformano, “divengono”.
È ora il divenire il fenomeno da spiegare.

Che cos’è il divenire? È il cambiamento di un essere. Tutto scorre (“panta rei”), aveva detto Eraclito. No, tutto è, aveva affermato Parmenide; nella natura niente può cambiare, poiché tutto è essere.

Evidentemente avevano esagerato entrambi: è vero che tutto è (Parmenide), ma è anche vero che l’essere cambia (Eraclito).

Aristotele riesce a spiegare il fenomeno del divenire con la scoperta di due altri principi primi della realtà: l’atto e la potenza (=possibilità).
L’atto è l’essere già realizzato, la potenza è l’essere che “può” realizzarsi.

Un uomo analfabeta in atto non sa leggere, in potenza è un letterato. Una pentola di acqua fredda in atto, in potenza è calda; e così via.

Il divenire perciò viene definito da Aristotele come il passaggio dalla potenza all’atto.

Ma per avere questo passaggio occore un essere già in atto.

L’analfabeta non imparerà a leggere senza che qualcuno gli insegni (essere in atto: un maestro, un libro); l’acqua fredda non può diventare calda, senza qualcosa che sia già caldo (il fuoco)...

Tutto ciò che si muove è perciò mosso da altro. Perché ci sia divenire, occore un essere già in atto.
Naturalmente, questo essere in atto può a sua volta essere stato mosso da un altro essere.

Ma non si può andare all’infinito, in questa catena di motori mossi da altri. Bisogna fermarsi (“anànke stènai”).
Non perché non si possa andare all’infinito numerico, ma perché anche tutto l’infinito numerico non avrebbe in sé la ragione del movimento e lo esige da un altro essere che non sia mosso da altri. Senza un primo essere non mosso da altri, non ci può essere inizio del movimento.

Occorre un Motore immobile, un Atto puro, che non sia stato cioè a sua volta una potenza di un altro essere precedente.

Occorre un Essere che sia sostanzialmente diverso dagli esseri in divenire, i quali sono tutti “atti impuri”, cioè motori che sono stati mossi da altri, e quindi misti di potenza, cioè imperfetti, perché un tempo non realizzati.

L’Atto puro, che Aristotele chiama senz’altro Dio (“o theòs”) è l’essere perfetto, in sé realizzato, non commisto con la potenza, con l’imperfezione, con il divenire. Un Motore immobile, che può muovere tutta la catena degli esseri, essendo egli diverso da tutti gli altri.

Il Libro XII della Metafisica, in pratica l’ultimo (gli altri due sono studi sui numeri) propone questa analisi impressionante sulla necessità di ammettere l’esistenza di Dio, intelligenza ordinatrice (“nous”), come era stata definita da Anassagora, Socrate e Platone.

Ma ora Aristotele ne dà una prova stringente, rigorosamente razionale. Se vogliamo “salvare le apparenze” (“sòzein tà phainòmena”), cioè il divenire del mondo, che è la cosa più evidente di tutte, bisogna ammettere un Atto puro, un Motore immobile all’inizio del movimento, sia che il movimento venga pensato all’infinito (come in realtà pensa Aristotele), sia che venga considerato finito. Non è il numero che conta, ma il tipo di essere che lo inizia.

L’Atto puro, cioè Dio, è l’essere perfetto, del tutto diverso dagli altri, unico e trascendente.

Possiamo allora concludere la metafisica di Aristotele con un'altra affermazione fondamentale, che ora apparirà chiara: “l’essere si dice in molti modi” (“tò òn lèghetai pollakòs”).

Si dice prima di tutto come Atto puro, essere perfetto; poi si dice come atto misto a potenza, cioè essere imperfetto (un essere che muove e viene mosso); infine si dice come pura potenza, cioè come semplice possibilità, che potrebbe non realizzarsi mai, se non ci sono le condizioni.

Tutta questa scala appartiene alla categoria dell’essere: Dio è, l’uomo è, la possibilità è.

Ma ognuno di questi esseri non è identico agli altri; però si rassomiglia, è cioè “analogo”.
Si va dall’Essere perfettamente realizzato alla pura possibilità, che però non è il semplice nulla, poiché può divenire qualcosa, mentre il nulla non ha senso.

Per questo possiamo usare per tutti il verbo essere.

Con pochi ritocchi, il più grande discepolo di Aristotele, Tommaso d’Aquino, inserirà questa splendida pagina di metafisica nella concezione cristiana di Dio.

Per un ateo invece sarà un problema sottrarsi alle domande poste da Aristotele, e alle sue risposte di ragione.

2 commenti:

  1. E' interessante rivisitare in chiave moderna le Cinque Prove dell'Esistenza di Dio postulate da S. Tommaso d'Aquino, riscritte in termini attuali, sostituendo all'idea di Dio quella quantistica di "Energia del vuoto".
    Infatti l'Energia del Vuoto provoca fluttuazioni quantistiche in grado di creare materia dal proverbiale nulla, e si presta molto bene a questo "esperimento":

    http://www.sferoidale.com/2007/08/s-tommaso-dio-o-lenergia-quantistica.html

    RispondiElimina
  2. Caro Bandolero,

    ho letto l'articolo che hai linkato, riassunto dal tuo commento.

    Il problema però non è sostituire la parola Dio con la parola Energia, perché, come ho brevemente ricordato nel post, per avere un reale inizio del movimento occorre un primo essere ontologicamente diverso dalle forze che agiscono nel cosmo.

    Energia e massa sono realtà ontologicamente intercambiabili (anche secondo l'equazione di Einstein) e quindi rientrano nella stessa categoria di esseri potenziali, cioè in divenire.

    Invece quando si parla di Dio, Aristotele e Tomnmaso parlano di Atto puro, dell'essere ontologicamente diverso dal divenire, non coinvolto in esso, e per questo in grado di iniziarlo.

    Ciao!

    RispondiElimina