martedì 14 luglio 2009

Parliamo del tempo (2)









Parlare del tempo può sembrare… una perdita di tempo.

Cosa c’è da dire su di un fatto così ovvio, che caratterizza la nostra esistenza e lascia ovunque segni visibili del suo inarrestabile passaggio?

Eppure l’uomo da sempre ha cercato di definire questo imprendibile signore, che procede solo in avanti, consumando ogni attimo che lui stesso genera.

Non a caso gli antichi lo hanno rappresentato proprio come una feroce divinità, Crono (Saturno), che divora i suoi figli appena generati.

In epoca moderna Hegel vede nel tempo un fattore positivo: in esso si incarnano storicamente le idee. Finché un’idea rimane astratta e non si immerge nella concretezza della storia, abbiamo le cose più sterili o aberranti.

Un esempio di idea sterile è “l’anima bella”, che crede di cambiare il mondo idealizzandolo romanticamente, ma senza immergersi in esso.

Un esempio di idea aberrante è la figura di “Robespierre”, il quale pensa di realizzare le idee rivoluzionarie senza confrontarsi con la realtà che ha davanti, ma tagliando le teste con la ghigliottina.

Per Hegel, solo quando un’idea diventa tempo e spazio, cioè concretezza storica, dentro la società e nello stato, allora abbiamo la pienezza della realtà.

È un ammonimento a non procedere per scorciatoie ideologiche, e al tempo stesso un invito ad immergersi nella concretezza del quotidiano. È lì che si verifica la validità di un’idea.

“Il tempo è galantuomo”, dicevano i nostri vecchi, senza conoscere Hegel.




Foto in alto: Saturno divora i suoi figli (1819-1823), Francisco Goya, Museo del Prado, Madrid

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