giovedì 31 luglio 2008

Pensieri morali (4)


All’inizio di questa serie di post in lingua italiana antica, non avevo la minima idea di come avrebbe reagito il mondo della blogosfera.
Finora i risultati sono stati positivi. Nei vari aggregatori i tre articoli pubblicati hanno fatto la loro figura anche in Home Page. Questo significa che nel mondo del blog c’è ancora posto per una lettura che faccia spremere un po’ le meningi… ma con legittima soddisfazione, spero!
Ho intenzione di portare a termine questo mio impegno con altri quattro 'pensieri morali’, che hanno come titolo La Ricchezza (che oggi viene presentato), La Peste, Memento Homo, Dio.
Al termine, ognuno potrà constatare che i problemi fondamentali dell’uomo li abbiamo ancora di fronte, anche se sono cambiati i vocaboli e il frasario.



La ricchezza


Li huomini di ogni tempo hanno desiderato sempre la ricchezza.
Come i fanciulli si trastullano a raccogliere nicchi marini, immagini colorate e simili frivolezze, parimenti l’uomo compiuto trova gaudio e satisfazione nell’accumulare quelle figure appellate denari, tutte consimili e scioccamente istoriate, di carta vilissima o di oscuro metallo.

Io veggo in questa insaziabile fame di denaro una qual certa infermità fanciullesca, come sottilmente ha insinuato Freud libidinoso, un riandare a giuochi e affezioni infantili troppo presto interrotti o tutt’affatto [del tutto] impediti.

Qualcuno potrebbe dire che i denari sono di necessità per vivere, e si accumula per i tempi futuri e calamitosi, come insegna l’industriosa formica, e non la stolta e petulante cicala che sta in su gli alberi e canta, e non vede l’appressarsi del verno.
Ma ciò che hai accumulato, o huomo ricco che leggi, ti basterebbe non per una ma per più vite, non per sofferire [sopportare] una vecchiezza, ma per resistere ad una intiera eternità, se all’uomo fusse concesso tanto; al contrario, giunti in età senile, è scritto che si debba presto morire et appare inutile un cumulo di beni per chi deve partire senza bagagli.

Forse tu hai voluto pensare ai figli e ai figli dei tuoi figli, e alla fedele consorte. Essi già litigano mentre il tuo corpo giace disteso nella funebre coltre in attesa di pia sepoltura, così che appai simigliante a un misero porcello ingrassato, più utile da morto che da vivo, come predica Santo Bernardino Senense.
E non ti dispiaccia, o huomo chiunque tu sia, di essere paragonato al setoloso porco, imperocché quando si tratta di ragunar denaro tu diventi peggiore di qualsivoglia animale. Più del lupo, che almanco risparmia i suoi simili; vieppiù del leone, che, placata la fame, giace satollo; e perfino di più della jena ridente che dispoglia li morti, ma teme li vivi.

Orsù dunque, umano genere, ritorna alla tua natura più propria e riconosci con li occhi dell’intelletto la vanità di questo accumulare ricchezze, che porta la mente ad oscurarsi, il cuore a rompersi come un vaso di creta, e la persona farsi estranea e financo inimica ai suoi simili.

Tu medesimo, huomo dovizioso, comincia piuttosto a dispogliarti del tuo ingombrante fardello, e doppo aver honestamente pensato al bene di chi ti è prossimo per vincoli di sanguine, restituisci quel che hai ottenuto con la fraude con opere giovevoli al pubblico universo. Prendi anche virtuosa satisfazione in soccorrere persone miserabili, né a te legate da parentela alcuna, né da altri sentimenti se non quello di essere tuoi consimili, ma bisognevoli di aiuto.
L’anima ritroverà la sua quiete e gli occhi riposo. E mentre virtuosamente disfai il cumulo delle tue ricchezze terrene, ne prepari un altro più durevole per l’eternità.


Foto in alto: "Il cambiavalute e sua moglie" (1514), Quentin Metsys (Louvre, Parigi)

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