domenica 30 marzo 2008

La scuola e il metodo d'insegnamento





















“Il professore conosce la materia, ma non la sa spiegare!” “Quella materia non mi piace!”… È l’altra faccia della medaglia dell’apprendimento. Ad un buon metodo di studio dell’alunno, di cui abbiamo parlato in un altro post, dovrebbe corrispondere un buon metodo d’insegnamento da parte del docente.

Molti insegnanti conducono la loro delicata e importante professione armati pressoché unicamente delle specifiche conoscenze della propria disciplina; il resto è affidato alla loro buona volontà. Proviamo perciò ad indicare, in base alla psicologia, alla pedagogia e alla didattica, e con un po’ di esperienza sul campo, alcuni punti fondamentali per un accettabile metodo d’insegnamento.

* È ben nota l’affermazione di Dewey: “Per insegnare la matematica a John, bisogna anzitutto conoscere John”.
Non basta sapere la materia che si insegna. Bisogna conoscere chi si ha davanti. La materia è la stessa, ma coloro che ascoltano, no. Ognuno ha il suo ritmo di apprendimento, le sue caratteristiche psicologiche (estroversione, introversione, timidezza…), il suo vissuto scolastico e familiare. La programmazione deve tener conto della classe che si ha davanti, affinché si raggiunga almeno un minimo accettabile. Così pure il metodo di studio va adattato ai singoli alunni. I più lenti si affideranno ad uno studio più schematico ed essenziale; per i più bravi si giungerà ad un apprendimento maggiormente creativo e rielaborato. Importante cercare di non perdere i pezzi per la via… ed arrivare possibilmente tutti al traguardo finale.

* Occorre suscitare l’interesse per lo studio. È la chiave del successo di tutto l’insegnamento. Alla pedagogia dello sforzo (che non può mancare in nessuna attività umana!) bisogna associare la pedagogia dell’interesse. Quando l’alunno parte già motivato, il compito dell’insegnante è assai più semplice. Il problema sorge quando siamo davanti a ragazzi svogliati.
Diceva Aristotele: “La conoscenza nasce dalla meraviglia”. Ogni disciplina è in sé affascinante; ma il primo ad esserne convinto deve essere chi la insegna. Il modo stesso di proporre gli argomenti lo rivela. E la forza comunicativa viene immediatamente recepita dall’alunno, che facilmente tende a identificare la materia con l’insegnante. Ci sono poi nelle pieghe di ogni disciplina caratteristiche, aspetti singolari, curiosità, che il docente al momento opportuno farà notare, per tener desta l’attenzione. Inoltre, una breve pausa, un break di cinque minuti, quando l’attenzione cade, sono opportuni per evitare interferenze retro e proattive; di quelle retroattive abbiamo già parlato; quelle proattive interferiscono nella ricezione di nuovi stimoli; quella principale è proprio la stanchezza. Ci sono poi tecniche e strumenti per presentare l’argomento in una forma originale, problematica, dialogica; in quest’ultimo caso, non si deve liquidare mai come sciocca una tesi, ma proporne un’altra che faccia comprendere magari l’errore della precedente. Talvolta una battuta di spirito e una sana risata ridestano l’attenzione per l’argomento che viene svolto.

* “Tutto può essere insegnato a tutti, tranne l’errore”. Questa frase di Bruner, che riprende un analogo concetto di Comenio, fa capire che non esistono materie o argomenti ‘difficili’. Difficile, anzi, impossibile è spiegare ciò che non ha senso, l’errore appunto (un cerchio quadrato!). Se l’insegnante conosce a fondo la sua materia (come dovrebbe accadere sempre), saprà anche individuare quali sono i punti fondamentali e le strutture essenziali che la caratterizzano. Per portare l’alunno a possedere la disciplina oggetto di studio, il docente deve far acquisire questi punti-forza e queste strutture fondamentali, dotate di coerenza logica. Si apprende solo ciò che è logico e chiaro. Per ottenere questo, anche l’insegnante dovrebbe sempre preparare la lezione, cercando di individuare il percorso più accessibile per i suoi studenti. Spesso anche la scelta di un termine o di un’espressione appropriata è decisiva per illuminare tutto l’argomento.

* La dinamica di gruppo. Una classe non è composta da individui, ma da persone che interagiscono anche emotivamente. L’insegnante è colui che per primo deve creare le condizioni per un guppo collaborativo e affiatato. Deve perciò evitare simpatie e antipatie, e dare spazio e attenzione a ciascuno, favorendo così dinamiche positive. L’emergere di figure-leader e di gregari è inevitabile, data la differenza di doti e di capacità tra gli alunni; ma questo può essere usato dal docente per ottenere un effetto trascinamento, o meccanismi di identificazione, imitazione e sana competizione, positivi per il lavoro scolastico.
Un gruppo con dinamiche positive è di grande aiuto per l’apprendimento ed è il modo più bello di vivere gli anni della scuola.

Ognuno di noi ricorda quali sono stati gli insegnanti che più hanno inciso nella nostra formazione e nella nostra vita… Tra i grandi educatori da portare come esempi mi viene in mente Socrate, per la sua capacità di dialogo; Tommaso d’Aquino, per la sua chiarezza espositiva; Comenio, per la grande fiducia che riponeva nell’insegnamento. Più vicino a noi D. Lorenzo Milani, per la dedizione verso gli alunni più in difficoltà. Ha lasciato scritto nel suo testamento: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze”.


Foto in alto: "L'asino a scuola", di Bruegel il Vecchio (stampa del 1556)

6 commenti:

  1. davvero interessante, ma su quali basi poggia tutto il discorso? cioè, queste informazioni da dove provengono?

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  2. Ho citato Socrate, Aristotele, S. Tommaso, Comenio, Dewey, D. Milani, Bruner, nonché nozioni fondamentali sulla memoria e sull'oblio che ogni manuale di psicologia riporta.

    Ho anche fatto riferimento alla mia non breve esperienza di insegnante di Scienze umane (psicologia, pedagogia, tecniche educative).

    Caro Anonimo, non ti aspetterai la bibliografia per disteso in un post di un blog. Ma puoi star certo che le cose che ho detto, sono state tutte da me verificate "sul campo".

    Direi, con successo ;-)

    Ciao!

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  3. Salve! molto interessante il suo articolo!
    sono una studentessa e sto scrivendo la mia tesi proprio sul rapporto tra insegnante e studente, potrebbe darmi qualche informazione in più sull'affermazione di dewey? vorrei trovare il testo originale o almeno il riferimento bibliografico. grazie dell'attenzione. simona

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  4. ...olto interessante il tuo blog...professori che amano il proprio lavoro di insegnanti?!...ce ne sono veramente pochi...che sanno farti sentire la loro gioia,il loro entusiasmo,il loro sapere...pochi!...che sanno tenere a bada una classe,coinvolgendoli nella lezione...pochi!...troppo pochi...io personalmente mi ricordo di un profdi storia dell'arte,che ti appassionava nelle sue spiegazioni,perchè inseriva elementi,non scritti sul testo,particolarità che attiravano l'attenzione...un prof di religione che ti aiutava a capire il tuo io,si sà che eta difficile puo essere dai 15,16,17...anni!..e per continuare.mio figlio,ora 17enne...disgrafico,iperattivo,non interessato a niente...due prof alle medie,l'hanno preso per mano,fino alla 3 media insistendo fino al raggiungimento del traguardo,perchè avevano visto che le possibilità c'erano.mia figlia 12 anni,avrebbe molta memoria...e sarebbe molto più brava di comè...ma l'anno è passato a tenere a bada i bulli...!!!10 rapporti di classe,(per punire 5 elementi,c'ha rimesso una classe intera)con i vigili tutti,dico tutti i giorni entrata e uscita fuori da scuola...per controllare la situazione....la scuola dell'obbligo non deve essere cosi!...

    la scuola deve essere un posto sicuro,dove mandare i nostri figli a istruirsi,con gioia e passione...solo cosi!..vuoi sapere sempre di più...grazie! silvia

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